Quando si legifera contro l'incolumità delle donne
Sulla scelta scellerata del Parlamento di estendere alle ipotesi non aggravate di stalking la possibilità per l’imputato di godere dell’estinzione per condotta riparatoria.
L’inasprimento delle pene non è mai stato un orizzonte di lotta per Non Una Di Meno, né tantomeno la strategia punitiva può ritenersi la strada nel contrasto alla violenza sulle donne.
Ma introdurre norme che depotenziano il ruolo delle persone offese (sopratutto donne) nei processi penali si traduce nuovamente in una limitazione dei loro diritti.
Sappiamo quanto sia difficile e importante per una donna che subisce violenza o minacce giungere alla decisione di querelare lo stalker o il compagno violento; sappiamo anche quanto denunciare sia, o dovrebbe essere, uno strumento di tutela e garanzia per chi subisce comportamenti persecutori e/o violenti e quanto sia difficile per una donna sostenere il processo.
A pochi giorni dal femminicidio di Ester Pasqualoni, siamo costrette a registrare, con indignazione e sconcerto, quanto si è prodotto in Parlamento lo scorso 14 giugno. Durante il dibattito sulla riforma del Codice Penale, è stato votato a maggioranza un emendamento che inserisce un nuovo articolo il quale dà la possibilità di estinguere reati procedibili a querela – quei reati, cioè, in cui è necessaria la querela della persona offesa – offrendo a quest’ultima una somma non meglio quantificata, senza considerare la sua volontà. Sarà dunque possibile su decisione del giudice e senza necessario consenso delle parti procedere a compensazione economica determinando l’estinzione del reato e l’esclusione della parte lesa dal processo penale. Tra queste fattispecie rientrano anche le ipotesi di stalking non aggravato – che prevede una remissione della querela all’interno del processo – affidando nuovamente alla discrezionalità del giudice una decisione che deve spettare unicamente alla donna, privandola in questo modo della facoltà di rifiutare un risarcimento, che può ritenere offensivo o può semplicemente non volere, subendo l’esito di un processo che le nega ancora centralità.
Spesso i reati rimettibili legati a stalking e violenza – proprio tra quelli oggi soggetti a condotte riparatorie – possono essere spia di una situazione di violenza di genere in atto e introdurre questo tipo di norme si traduce nel negare la gravità del fenomeno.
Misure del genere vanno a depotenziare il ruolo delle persone offese nell’azione processuale e, in particolare, l’irrilevanza del consenso delle parti limita fortemente l’autodifesa e l’autodeterminazione delle donne, il cui segnale di allarme e di accusa viene in questo modo negato e silenziato.
Esprimiamo profonda indignazione verso un Parlamento che dimostra di essere rimasto indifferente alle rivendicazioni che le donne continuano a portare in piazza. Ci chiediamo, infatti, con tali premesse, quale Piano Antiviolenza approderà in Parlamento: di certo non metterà al centro l’autonomia delle donne.
Torneremo nelle piazze già dal prossimo 28 settembre per rivendicare autodeterminazione contro la violenza, negli ospedali, nei tribunali, a casa, al lavoro, a scuola, ovunque!
Non Una Di Meno